martedì 22 dicembre 2009

Prisencolinesinanciusol



L'inglese inventato di Celentano spopola negli Usa e su Internet. Il celebre scrittore e blogger statunitense Cory Doctorow elogia Adriano Celentano e lo cita nel suo prestigioso blog Boing Boing come esempio di quanti cantano l’inglese senza conoscerlo e come simbolo del fascino dello slang finto-anglofono. Il pezzo di cui sto parlando è ovviamente Prisencolinesinanciusol (1972)

venerdì 27 novembre 2009

La fine giustifica i Mezzi

Come hai capito che stava morendo?
Avevo male all’elzeviro.
Tu?
Mi sono sottoposta al test dell’audience. I pappagalli non parlano più e i report sono cancellati. Pensa, avevo prenotato l’esame del tubo catodico, ma me l’hanno fissato fra due anni.
I soliti tempi lunghi.
E nel frattempo è superato. Ho sborsato un capitale per sottopormi a quello digitale. Vedo che non porti più quel bel taglio editoriale di una volta.
Ho dovuto abbandonarlo per una parrucca. Le cure mi stavano facendo perdere i capelli. Mi manca l’informazione, quella genuina di una volta.
Bisogna trovare i responsabili di questo orrendo delitto e punirli.
In maniera esemplare! Non c’è giorno in cui non piango al pensiero della mia vecchia reputazione in bianco e nero.
Oh, ma io mi sto già muovendo. Indago sulle cause del recesso dei miei abbonati.
Ed io ho sottoposto ad inchiesta l’auditel. Nessuna sa!
Tu?
Niente, ma ho inviato a tutti delle offerte senza precedenti.
Hanno abboccato?
Qualcuno, con carta di credito. La gente non ha più tempo per le file.
Vuole solo distrarsi e non pensare alla crisi. C’è crisi sai?
Certo che lo so. Ho riempito la programmazione di show per farla dimenticare.
Come?
Do dei pacchi!
Mi pare scorretto.
Arrogante e saccente, ecco cosa sei!
E tu, banale e ridondante!
Cosa?
Ridondante. Ignorante!
Guarda che io sono molto più ricca e seguita di te. Io distraggo!
Ed io rilasso con più classe, e la classe non ha prezzo!
Presto vedrai quant’altro svago offrirò. Balli e sorrisi. Giovani ragazze in fresche vesti. Stramberie.
Ed io inserti patinati. Poster accattivanti e concorsi gratta e vinci!
Ma se sei caduto nella rete! Lì è tutto diverso.
Bazzecole, ho aperto anche un profilo facebook. Parli proprio tu, che nella rete riesci a vedere la luce solo attraverso un tubo!
Ipocrita, se vuoi vedere come si fa a stare in linea, dai un’occhiata ai miei podcast: puoi rivedere tutti i gol e le news dal mondo del gossip.
Non ricordo più di cosa stavamo parlando.
C’era un cadavere di mezzo.
Non ne sento mica la puzza. Sarà successo lontano da qui, tanto tempo fa.
Tu ne hai dato notizia?
Non ricordo, ma non credo di aver mai bucato.
Io neppure, e dalla regia mi dicono che lo show deve continuare. Forse se non lo diciamo, nessuno se ne accorgerà. Facciamo così: io distraggo e tu infossi!
Neppure un coccodrillo?
No!
E se qualcuno sentisse la mancanza dell’informazione?
Be’, a quel punto io mostrerò più coscia e tu aumenterai le tue rubriche scritte da gente famosa.
Ah, le hai notate!
Sì, davvero ingegnose. Se non ne parleremo noi, nessuno se ne accorgerà.

Ipotesi di credibilità

Mi spieghi cosa ci fai in una camera d’albergo con un cadavere?
Ero venuta qui a portare dei documenti. Me lo aveva chiesto lui ieri.
Ma lui è chi penso che sia?
Sì.
Allora dobbiamo filare.
Non possiamo. Aveva segnato il nostro appuntamento sulla sua agenda. Facciamogli sparire l’agenda!
Non so dov’è.
Allora chiamiamo la polizia. Non abbiamo fatto nulla di male, vero?
Be’, non proprio. Cioè non lo so.
Che significa?
Quando sono entrata, lui era diverso, molto più affabile e lusinghiero.
Mi stai dicendo che c’ha provato con te?
In un certo senso.
E tu ci sei stata?
Ma che scherzi! Solo che davanti alle sue avance, credo di aver reagito male.
Che intendi dire?
Devo averlo spinto un po’ troppo forte.
Lo hai colpito alla testa?
No. Si deve essere sentito male ed è franato in terra, morto. Il livido deve esserselo procurato cadendo. Dobbiamo dire la verità!
Non ti crederà nessuno! Hai idea di chi stiamo parlando? Un personaggio integerrimo, diranno, e tu verrai additata come un’arrivista, disposta a fare qualsiasi cosa pur di fare carriera. M’è venuta un’idea! Aiutami a spogliarlo.
Cosa?
Levagli i pantaloni ed infilagli i tuoi collant!
Cosa hai intenzione di fare?
Simuleremo un’incontro piccante, perverso se saremo bravi. E quando giungeranno le autorità, dichiarerai di aver visto scappare una donna, prosperosa e dai lineamenti marcati, sudamericani. Un transessuale, insomma. Così saremo più credibili.
Scherzi?
Pensaci, lui è un uomo importante, insospettabile, praticamente uno scenario perfetto per uno scandalo. I media ci inzupperanno per giorni. La magistratura farà il suo show ed il caso susciterà un tale scalpore che la gente non potrà non crederci.
Gli levo anche la camicia?
Sì!
Sei sicura che non sia successo nulla tra di voi?
Perché?
Guarda.
Hmm, davvero dotato.
È il rigor mortis!
È invidia.
Ma invidia di che! Piuttosto, controlla se ha del viagra addosso.
Niente da fare… era tutto farina del suo pacco!
Ah, ah! Divertente. Abbonda con quel rossetto, deve sembrare un pervertito.
Sì, ma non vorrei esagerare.
Ed invece devi! Non ci devono essere equivoci sulle sue tendenze. Quanto calza?
Chi?
Lui!
Perché?
Voglio mettigli le tue scarpe.
Ma sei fuori! Ed io come faccio poi?
Ti presto le mie.
Sono troppo piccole!
Da’ a me… Perfetto! Una pervertito che ha voluto strafare, ecco cosa sembra ora. Certo, manca della droga, ma a quella ci penseranno i giornali.
E adesso che fai?
Giro un video con il cellulare. Lo mettiamo on line e ci facciamo due soldi.
Andiamo, incomincio ad avere paura.
Aspetta! Scatto anche una foto.

Novembre 2009
Racconto finalista Tiro Rapido
Contest di letteratura gialla
Corriere della Sera - Milano

lunedì 9 novembre 2009

Sunday's movie



"L'uomo che fissava le capre" è un film del regista Grant Heslov ed è tratto dall’omonimo libro che il giornalista inglese Jon Ronson ha scritto sul First Earth Battalion dell’esercito americano.
Nei primi anni '80, l’esercito americano dà vita ad un esperimento: crea ed addestra un reparto speciale che utilizza degli strani poteri psichici per fare cose assolutamente surreali come leggere nel pensiero il nemico, passare attraverso pareti (ma sono più i nasi frattuarti nel tentativo di farlo) o uccidere una capra semplicemente guardandola, come accade al soldato Lyn Cassidy, interpretato da George Clooney. Alla base, l'illuminazione del fondatore del reparto Bill Django (Jeff Bridges) che, tra droghe, pantaloni a zampa e musica rock insegna ai suoi uomini a diventare guerrieri Yedi. Il tutto è visto con gli occhi del giornalista Bob Wilton (Ewan McGregor) a caccia di se stesso piuttosto che di qualcosa da raccontare. Grande la scena della capra che frana in terra sotto lo sguardo penetrante del soldato Cassidy. Un finale redendorio ed allucinogeno dona speranza, e corona una storia raccontata senza infamina né lode, eccetto che per qualche scena (troppo poche direi!). Morale: la mente può essere un'arma letale, gli hippy hanno i capelli lunghi, gli esceriti sperimentano e le capre vanno svincolate dal concetto di espiazione/sacrificio.


p.s.
Ah, dimenticavo, domenica scorsa ho visto Parnassus...

20 anni della Caduta del muro di Berlino




Fra le tante immagini che ritraevano lo storico evento, una m'è rimasta particolarmente impressa: il celebre violoncellista Rostropovich suonava il suo amato strumento ai piedi del muro, fra la folla in festa e la gente armata di piccone.
Pareva voler celebrare quel momento con quanto di più bello avesse potuto offrire, la sua musica. Era come se tentasse di abbattare il cemento con le note, e allo stesso tempo offrisse sollievo e cadenza alla gente che, anche a pungi, si sforzava di demolire il muro.



lunedì 26 ottobre 2009

Sunday's movie: Julie & Julia



Julie & Julia, commedia per paliti sopraffini - almeno per i contenti trattati - che nasce da ben due libri, "Julie & Julia" della scrittrice americana Powell e "My Life in France" di Julia Child e Alex Prud’homme. Meryl Streep e Amy Adams sono le protagoniste della pellicola che narra la storia vera di due amanti della cucina francese (anche se, ad onor del vero, solo la Streep incarna la vera amante dell'arte culinaria d'Oltralpe, la Adams, piuttosto, sembra mossa più da uno spirito di emulazione che altro). Una narrazione asincrona della vita di due donna lontane per contesto temporale e sociale: la prima è ambientata nella seconda metà del '900, in giro per l'Eurpoa, la seconda nel Queen, New Your, all'inizio del nuovo millenio. Una soluzione narrativa che, nonostante qualche tentennamento, pare funzionare, specie per un pubblico femminile. Sontuose e succulente ricette condiscono l'intero film, va da sé il perchè dell'attenzione tutta al femminile. Un po' troppo pacati ed accondiscendenti i ruoli maschili, ma si sa, in cucina è la donna a farla da padrona. Meryl Streep è Julia Child, personaggio celebre negli USA per aver importato Oltreoceano "L'arte della cucina francese" realizzando un libro di cucina rivolto a tutte le cuoche americane senza "servitù"; Amy Adams è invece Julie Powell, addetta alla raccolta delle lamentele e risarcimenti post 11 settembre: un lavoraccio, insomma. Comune ad entrambe è la frustrazione. La Streep è la consorte costretta a seguire il marito, diplomatico statunitense, in giro per mondo. Nessun lavoro, nessun interesse fisso, nessun figlio, una sola amica, ma di penna, e tanta, tanta noia e voglia di fare. La giovane Amy Adams impersona il classico stereotipo della sfigata alle prese con la vita, un lavoro mortificante, il desiderio disatteso di divenire una scrittrice ed un trasloco all'apparenza sventurato. Per farla breve, la Streep decide di impiegare tutto il suo tempo libero (tanto!) in scuole di cucina a Parigi, per poi dedicarsi alla realizzazione di un libro con due sue collaboratrici; Amy Adams decide di ripercorrere tutte le ricette di Julia Child, documentandone gli sviluppi culinari all'interno di un blog. Conclusione: la casalinga annoiata pubblica il suo libro non appena rientra in America, la blogger diviene famosa grazie all'iniziativa portata a termine con successo, celebrato con una cena a base di anatra perfettamente dissossata (ultima delle oltre 500 ricette riprodotte in un anno). Inutile far osservare la grandezza della Streep, per l'occasione anche piuttosto divertente, piacevole l'interpretazione della Adams, perfettamente a suo agio Stanley Tucci (già noto per la grande interpretazione ne "Il Diavolo veste Prada") nelle vesti del placido e saggio marito della Child, senza infamia né lode la prova di Chris Messina, marito della Adams. Un film che consiglierei di vedere prima della preparazione di una cena importante, se non altro per le ricette, la maniera carica di passione con cui le due cuoche le realizzavano e la soddisfazione, colma di sapore ed incanto, dei commesali dopo l'assaggio. Un film molto più gustoso da interpretare, insomma. Un appunto alla regista-sceneggiatrice Nora Ephron, in almeno due occasioni si è intravisto il microfono entrare in scena: praticamente sarebbe come servire dell'anatra flambè un po' bruciacchiata!

sabato 3 ottobre 2009

Una settimana da "tre soldi"


E' successo di nuovo, ho lavorato troppo. Dannazione! C'ho messo un po' per rimettermi al passo, ma ce l'ho fatta. La Daddario in tv spopola più della Champions, tutti inchiodati alla tele, con le orecchie dritte ad ascoltare le confessioni di un'escort non poi tanto pentita. Una volta c'era la gogna pubblica, pena accessoria che aveva l'intento di amplificare la pesantezza dello scotto da pagare per il condannato. La vergogna pubblica. L'umiliazione maxima. Adesso si chiama notorietà. Se hai fatto qualcosa di socialmente deplorevole, bene, corri in tv a dirlo e tieniti pronto a firmare autografi. "Il presidente sapeva che ero una escort... tutti lì lo sapevano", dichiara fiera e risoluta davanti alle telecamere. Una simile situazione, nel resto del mondo, avrebbe fatto crollare i palazzi del potere con tutti dentro. Ma siamo in Italia. Il Bel Paese, dove splende sempre il sole e le catastrofi, adesso, piovono anche dal cielo. E via a discorsi sul "si è trattato di un disatro prevedibile, scongiurabile"! Mi riferisco a Messina e all'alluvione che ha devastato la zona nle nord della Sicilia. Sepolti sotto il fango, case franate o spazzate via dalla forza dell'acqua e costoni di montagna che venivano giù come fatti di pastafrolla. Ed il dito si punta sugli abusi edilizi e la gente piange i suoi morti, le abitazioni distrutte e trema al pensiero della paura di quei momenti. Fango dappertutto, tra le vie delle città, sulla morale comune e l'animo della gente. Fango sul sistema che ora è talmente incrostato che non se ne vede più l'aspetto. E se ne perde il ricordo, l'immagine di come dovrebbe essere. Stiamo perdendo di vista i canoni minimi di decenza e correttaza utili per la costruzione di quel sistema che oggi ci dovrebbe governare, guidare, proteggere. Ma c'è di più, c'è pigrizia. Ed allora barattiamo quel po' di libertà che ci resta per la tutela di ciò che adesso non ci appartiene neppure più: il controllo della nostra vita. Parossismo? Be', non credo. Nessuno resta scandalizzato dalle dichiarazioni della Daddario (per il principio: scagli la prima pietra chi è senza escort!) eppure c'è gente che grida allo scandalo per la scena dell'ucciosione di un toro nel film Baària. Per quanto io personalmente trovi discutibile la scelta del regista di utilizzare un toro vivo per la sequenza, non ravvedo certo gli estremi per inoltrare un esposto alla magistratura volto ad ottenere il ritito della pellicola dalla circolazione. Ancora la scure della censura. L'iniziativa è dell'Enpa, l'Ente nazionale protezione animali, che paragonando Baària ad una macelleria prosegue motivando la sua scelta "anche al fine di impedire che il reato venga portato ad ulteriore conseguenza e sia per evitare che la scena in questione continui a produrre inutile sgomento, gratuito ribrezzo e profondo raccapriccio, non esclusi i bambini, in quanto tale capolavoro non è nemmeno vietato ai minori". Una motivazione che trovo perfettamente adatta ad avvalorare una denuncia avverso la messa in onda del sequel "Tutte le escort del presidente". Ma non esiste una lega che protegge gli esseri umani? Peccato. Arrivati a questo punto bisognerebbe prenderla alla "Letterman", affrontare il pubblico e spiattellare tutto, o fare outing, ditela come vi pare ma fatelo. E nel frattempo Baària, diretto da Giuseppe Tornatore, rappresenterà l’Italia di fronte alla giuria degli Academy Awards, che dovrà decidere i cinque candidati all’Oscar per il miglior film straniero del 2009. Non so i giurati, ma io sono ancora alle prese con qualche problemino di compresione della pellicola. C'è qualocsa che mi sfugge, qualcosa che mi lascia perplesso e qualcos'altro che mi affascina del film, ma devo ancora mettere tutti i pezzi al posto. Se rientrerà tra i cinque fortunati, vincerà. D'altronde ho già detto che, mai come ora, sono alle prese con il lavoro. Vorrei tanto svagarmi, avere la testa tra le nuvole. Un po' come Guy Laliberté, padre del Cirque du Soleil che ha pagato 35 milioni di dollari per salire sulla navetta russa Soyuz diretta sulla Stazione Spaziale Internazionale. Partito il 30 settembre scorso da Baikonour, in Kazakhstan, con un equipaggio di quattro persone, il re del circo più affasciante al mondo è il primo turista spaziale del pianeta: che pagliaccio! Niente di più vero, prima di diventare milionario (attaualmente è il 562esimo uomo più ricco del mondo) Guy faceva il clown. Sulla navetta spaziale è salito indossando un bel naso rosso da pagliaccio, suscitando le risa si dutti i presenti, almeno così scrivevano i giornali qualche giorno fa. Ma di risate ne hanno fatte tante anche gli investigatori romani durante il singolare arresto di un ladro avvenuto nella capitale il 2 ottobre scorso. Il rapinatore, qualche tempo fa, si era intrufolato in un appartamento ma, durante la perlustrazione, aveva trovato un pc acceso e tramite account personali, si era collegato udite udite a Facebook! Grazie ai suoi dati personali memorizzati sul pc gli inquirenti sono riusciti a risalire alla sua identità. L'arresto è avvenuto solo dopo sei mesi dall'effrazione; forse perchè la polizia aspettava che il malvivente accettasse la sua richiesta d'amicizia. Che settimana! Se m'è consentito ancora (licenza sarcastica auto-autorizzata), concluderei con un Brecht: "Signori, voi che pensate di insegnarci... voi che fate i vostri porci comodi e poi parlate di onestà... ditemi di che cosa vive l'uomo? L'uomo vive solo di empietà".

mercoledì 23 settembre 2009

Lo stile è una questione di fede


Il Corriere della Sera on line di oggi (23 settembre 2009) riporta la notizia che l'"Iran ha bandito i jeans con il nome di Allah", precisando che "Chi ha provato a importarli è stato arrestato con l’accusa di blasfemia". Il modello di jeans in questione riportava il nome del profeta su di una tasca posteriore, all'altezza delle natiche per dirla tutta. Apriti cielo! (espressione che va bene per ogni credo). Il mondo religioso iraniano è subito insorto di fronte alla fashion dissacrazione del nome di dio. Un'insurrezione che ha messo d'accordo sciiti e sunniti, popolazioni che convivono nel territorio con non poche difficoltà. Calzoni messi la bando, indumento vergognoso ed offensivo, dunque, ma anche origine di una reazione tale da unificare - almeno per concetto - fazioni opposte e discordanti. Un miracolo, avranno urlato all'interno dei laboratori stilistici cinesi in cui il jeans è progettato e realizzato. Macchè! Quelli di religione non ne vogliono neppure sentir parlare. E reprimono "diritti" ogni replica. Una situazione simile è accaduta poco più di 30'anni fa in Occidente, in Italia, per la precisione. Correva l'anno del Signore 1971, quando in Piemonte nacque il primo marchio italiano di jeans, Jesus Jeans (prodotto dal Maglificio Calzificio Torinese - MCT). Il nome la dice tutta. Anche in quel caso le polemiche non mancarono. L'Italia, si sa, è un paese mooooolto cattolico, spesso bacchettone, che mal digerisce le provocazioni (scherza coi fanti, ma lascia stare i santi), con una morale di matrice marcatamente religiosa e, specie in quegli anni, colmo di gente che c'andava con i piedi di "piombo". La goccia che fece traboccare il vaso fu la campagna pubblicitaria, ideata dall'enfant prodige Oliviero Toscani, in cui campeggiava in primo piano un sedere ben tornito ed appetitoso che invitava la gente a seguirlo. "Chi mi ama mi segua", recitava, infatti, il biblico slogan. Un invito per "chiavata", piuttosto che per chiamata. Una pubblicità fantastica, che colpisce il pubblico senza lasciare scampo, che fa parlare anche chi un paio di jeans non li ha mai indossati, è ancora di più, fa parlare anche chi non ti aspetti proferisca parola. Un messaggio potente e penetrante, una di quelle cose che non dimentichi facilmente. Certo, c'è chi afferma che la migliore pubblicità è quella che faresti leggere o vedere alla tua famiglia senza vergognarti del contenuto ed immagini, tuttavia questo va bene solo in un mondo perfettamente corretto, sensibile, dai connotati morali ben delineati, identificabili e soprattutto stabili... almeno finchè durano. Ma questa è un'altra storia. Sta di fatto che il paragone tra le due circostanze ci sta tutto, ma si tratta di un confronto solo ideale. Lungi da me voler assimilare i due mondi e le due epoche. Totalmente differenti, ma la storia mi fa gola. L'Iran di oggi bandisce e condanna, l'Italia di trent'anni fa polemizza e si scandalizza. Sempre di dio si sta parlando! Sebbene la vicenda non ebbe nel Bel Paese le medesime proprietà uninifatorie che ha avuto nella nazione degli ayatolla - la critica e l'estabilisment italico mostrarono posizioni opposte e discordanti tra contrari alla pubblicazione dell'immagine pubblicitaria e fautori della libertà di espressione - la fattispecie evidenzia delle discrasie reazionarie da prendere in seria considerazione. Wow, sto trascendendo. Restando con i piedi per terra, mi chiedo: è davvero necessario condannare un jeans? E' possibile che imprimere il nome di Gesù, Allah, Buddah o Visnù su di un pantalone sia da considerarsi manifestazione di una libertà sacrosanta ed inviolabile come quella di espressione? Ci sono limiti al fanatismo? O si vuol solo fare scalpore, infrangere le regole, indispettire, innervosire, fomentare polemiche e censure, irritare, irridere e fare soldi. Be', d'altronde non biasimo nessuno, sapete come sarebbe difficile badare o quantomeno tenere in dovuta considerazione le opinioni ed i pareri di tutti per evitare di urtare la sensibilità di chicchessia? Un'impresa che richiederebbe doti taumaturgiche, divine, e di divino nell'uomo ce n'è tanto quanto di sangue nelle rape.

martedì 22 settembre 2009

Quelli che... si fanno prendere per culo.



L'ignoranza è una brutta bestia, specie se ostentata, teletrasmessa, seguitissima e vestita Dolce & Gabbana.
Doemnica 20 settembre scorso, i Muse , celebre band musicale inglese, si sono esibiti nello show televisivo "Quelli che il calcio" condotto da Simona Ventura. Ma che ve lo dico a fare: tutti, in Italia, conscono la trasmissione... un po' meno i Muse. La band, infatti, davanti al divieto della produzione di esibirsi live, ha replicato con un tiro mancino (concedetemi l'espressione a tema): si sono presentati in scena invertendosi le parti. Il cantante si è sistemato dietro la batteria, il bassista alla chitarra ed il chitarrista al basso. Nessuno dei presenti se ne è accorto: né la brillante e sagace Simona, né i dottissimi ed arguti autori, né il gaudente ed applaudente pubblico presente in studio. Un bluff catodico nel programma di punta della rete pubblica numero 2. Ma la cosa non è rimasta confinata alla peformance, no. La Ventura, facendo sfoggio di un inglese cluadicante, ha anche intervistato il cantante/batterista dando seguito ad una farsa che così ha raggiunto livelli niente male. Tra le risa degli altri componenti del gruppo, quello le rispondeva con fare misto tra il faceto e l'irriverente, recitando la parte in maniera magistrale. Cosa che, se si guarda il video della loro esibizione, è facile notare durante tutta l'esecuzione del brano. Le braccia del "batterista" truffaldino protese verso il pubblico mentre in sottofondo andava un travolgente ritmo di grancassa, rullante e tom, le mani del chitarrista imbroglione che parevano muoversi avulse al brano, ed il sorriso beffardo del cantante impostore maximo che stentava a mostrare serietà nel recitare quella parte. Ora, non conosco la ragione per la quale non si è permesso ai Muse di esibirsi dal vivo, ma so riconoscere perfettamente una bella figura di merda. Resto in attesa di repliche per domeniche, La Ventura nazionale non resterà a guardare.

domenica 20 settembre 2009

Fattore telegenia: la stalla è aperta

Qualche giorno fa, mi è capitato di riguardare la prima puntata di X Factor, reality talent scout alla sua terza edizione. Se si fa eccezione per la sostituzione della strapresente Simona Ventura con la cupa Claudia Mori, nota più per essere la compagna di Adriano Celentano che altro, il programma non appare aver subito grandi cambimenti. Sembra che la trasmissione segua lo stesso canovaccio delle telenovelle: quando lo share è in fase discendente, si inserisce un nuovo personaggio integrandolo nella stessa, identica e patetica storia, e si spera in una reazione positiva dei telespettatori. La soluzione, per dirla in soldoni, dovrebbe avere lo stesso effetto che ha il viagra: far drizzare lo share. Ma torniamo alla prima puntata del reality. Proprio mentre ero lì lì per assopirmi (non sono un critico musicale, ma a mio avviso in questa edizione non odo ugole d'ore!) i miei sensi vengono destati dalla vocina flebile ed insinuante di un opinionista musicale (il Mughini del pentagramma) che, immediatamente dopo l'esibizione di una concorrente, tira in ballo il fenomeno Susan Boyle. La cosa si fa interessante. Prendo a seguire la puntata con un piglio diverso. L'opinionista è un vj di Mtv, la concorrente è Chiara Ranieri, componente della squadra di Morgan (dai 16 ai 24 anni), Susan Boyle è una partecipante della scorsa edizione di Britain's Got Talent, pari programma d'Oltremanica. Per farla breve, la Boyle è quella signora di 47 anni che, con la sua potente ed incantevole interpretazione di I Dreamed a Dream, da Les Misérables, ha incantato la nazione prima ed il mondo poi. Qualche dato tanto per dare le dimensioni del suo successo: il video della sua performance, si dice, sia il più visto di sempre su Youtube. Le ragioni del suo successo, tuttavia, non sono da ricercarsi nella sua bravura canora, quanto nel fatto che lei non è per nulla piacente. Nelle menti dei telespettatori la strana coincidenza di abilità e bruttezza ha mandato in confusione i canoni minini ed impartiti di identificazione di un successo. Ma come, così brutta e così brava? Ma sarà possibile? Fatto sta che gli autori del programma britannico hanno riconosciuto le potenzialità della fattispecie in termini mediatici costruendo un personaggio che presto è divenuto un tormentone, il che si è tradotto in un aumento vertiginoso degli ascolti. Susan Boyle è divenuta presto la beniamina del pubblico, coccolata dai giornali e programmi tv. Adorata da internet ed incoronata icona. Lei incarna il sogno di chi ce la fa. Peccato che sia arrivata solo seconda. Perchè, che che se ne dica, le leggi dello spettacolo sono impietose: è brttua e vecchia, quindi non può trionfare. Siamo talmente assuefatti ad abbinare la bellezza e la perfetta ed asciutta forma fisca con il possesso di doti artistiche che restiamo sbalorditi quando scopriamo che il brutto anatroccolo sa cantare l'opera. Il tema è stato in passato trattato alquanto sarcasticamente da Dino Risi ne "I complessi", del 1965, con l'elblematico episodio de "Il dentone", interpretato magistralemnte da Alberto Sordi.

L'episodio narra le goffe vicende di una commissione d'esame Rai durante le selezioni per la scelta del presentatore del Tg (all'epoca la Rai trasmetteva con un solo canale). I componenti della commisione, infatti, si trovano di fronte ad un vero e proprio fenomeno della natura, Guglielmo Bertone (Alberto Sordi), coltissimo ed intelliggentissimo aspirante presentatore. Tuttavia, il soggetto presenta una piccola deformazione: ha dei denti enormi e sporgenti. La commissione, guidata da Nanni Loy nella parte di se stesso, escogita mille espedienti per evitare di portare il "dentone" sugli schermi, nelle case degli italiani, ma senza successo. L'episodio si chiude con l'affermazione di un telespettatore che esprime simpatia per il dentone mentre presenta il Tg.

Susan Boyle è un fenomeno creato da noi, intesi come pubblico, in maniera indotta. Se il canto è l'arte, bene, che si giudichi quella e scompaia il riferimento foto/videogenico dai provini. Così corriamo il rischio di perderci grandi interpreti. Ma forse la tv è divenuta un'arte quanto il canto, la danza e la pittura. Se così fosse, non vedo un futuro per la giovane Chiara Ranieri, cantante dalle grandi doti vocali ma non certamente telegenica, per mole ed aspetto. Nonostante Morgan, chiamato in causa dall'allusione (a mio avviso pertinente e pungente), abbia cercato di replicare contrattaccando con argomenti farciti di onestà e trasparenza a buon mercato, i più attenti avranno colto il senso di quelle parole, e compreso la strategia sotto la scelta di quella cantante: replicare una soluzione mediatica che ha dimostrato di funzionare. Spero di cuore di sbagliarmi, ma poi leggo le dichiarazioni della neo eletta Miss Italia, Maria Perrusi: "Non so far niente, ma ho dato il massimo" (Corriere della Sera on line), e allora le mie speranze fanno presto a naufragare e chiudo chiedendomi(vi): quant'è il massimo di niente?

Sneakers (post bellum) policy


Forse non sono in molti a sapere che i noti brand d'abbigliamento sportivo Adidas e Puma nascono dalle menti di due fratelli tedeschi, rispettivamente Adolf (Adi) e Rudolf Dassler, nati ad Herzogenaurach, una piccola cittadina nei pressi di Norimberga. La storia dei due fratelli-soci d'affari ha inizio negli anni '20 nel cuore di una Germania che stava cambiando volto. I due esperti calzolai, fondano in quegli anni, una fabbrica di calzature, la Gebrüder Dassler Sportschuhfabrik, dove producono le prime scarpe da calcio con i tacchetti e le prime scarpe da atletica chiodate. Raggiungono il successo mondiale nel 1936, vestendo con le loro creazioni niente di meno che i fantastici piedi di Jesse Owens, cosa che fece andare su tutte le furie Hitler. I due fratelli, infatti, erano regolarmente iscritti al partito nazista - ci saremmo stupiti del contrario - e vestire un atleta di colore alle olimpiadi di Berlino venne inequivocalbilmente inteso come un'onta per la reputazione del Reich. Fatto sta che ai fratelli Dessler gli si perdonava tutto, erano i migliori produttori di scarpe per atleiti del mondo. Le cose filano lisce per i loro affari, sino a quel fatidico 1948, anno in cui i due fratelli si separano definitivamente. L'intera polopazione del paesino seguì la stessa sorte, scegliendo di schierarsi con l'uono o con l'altro, ed erigendo un muro invisibile che correva lungo il fiume Aurach, fiume che divide in due la città. Le cause della dura e repentina separazione sono dapprima addebitate alla differenza di vedute dei due sulla politica del Reich, poi definitivamente ascritte a beghe sentimentali. Pare che, come scrive il Corriere della Sera on line del 18-19 settembre scorso "Adi aveva una relazione con la moglie di Rudolf; o forse perché il figlio di Adi era in realtà figlio di Rudolf; di certo, le due mogli non andavano d' accordo; e anche le opinioni politiche dei due fratelli divergevano." Tresche da crucchi altolocati, insomma. Fatto sta che comunque siano andate le cose i Dessler il senso degli affari e la passione dello sport ce l'hanno nel suange. Il figlio di Adi - che si tratti della prole fedifraga o meno - è il fondatore di Arena, nota azienda specializzata nell'abbigliamento per gli sprot acquatici. La rivalità tra i due marchi, sintesi di ben più profondi dissidi, si è tradotta negli anni con sfide a suon di spot, promozioni, testimonial e trovate commerciali e tecnologiche senza precedenti. Attualmente Adidas e Puma sono al secondo e terzo posto al mondo per la produzione di abbigliamento sportivo (la prima azienda è Nike - nda). Sessant'anni separati in casa, dunque, visto che ancora oggi le sedi centrali dei due colossi dell'abbigliamento sportivo si trovano ad Herzogenaurach, città natale dei due fratelli, e tra le due non è possibile registrare nessun contatto. Oggi, questa rivalità pare dover cessare. In occasione della giornta internazionale della pace, che si terrà il 21 settembre prossimo, i rappresentanti dei due storici marchi si incontreranno sul campo di gioco per porre termine alle ostilità e riconcilarsi una volta per tutte. Si tratterà di un gesto simbolico, più che altro. I due fratelli, infatti, non ci sono più; la loro guida è stata sotituita da accaniti consigli di amministrazione che parlano francese per Puma (alla testa dell'azienda c'è infatti la Ppr, multinazionale francesce che gestisce anche Gucci) ed un folto gruppo di azionisti guida, invece, Adidas. La cosa puzza di operazione di marketing: diritti televisivi, edizioni limitate, pubblicità condivisa, enfasi mediatica carica di significato pseudo romantico, finalità inequivocabilmente positiva quindi assolutamente vendibile, irriperibilità dell'evento che si traduce in uno spasmodico aumento dei prezzi, e tanta, tanta ipocrisia dipinta sulle facce dei rispettivi manager al momento della stretta di mano davanti a milioni di persone. Chissà se i due fratelli approverebbero questa riconciliazione. Presto, comunque, ci faranno un film, potete starne certi.

P.s.
Quanto sopra descritto mi fa venire in mente una faccenda tutta locale, simile ma con le dovute proporzioni; il caso Rams. Rams è un marchio d'abbigliamento pugliese, anch'esso di proprietà di due fratelli. Un bel giorno i due litigano (le ragioni sono sicuramente differenti da quelle dei fratelli Dessler - nda) e, di conseguenza, dividono l'azienda in due differenti marchi: Bozart Rams e Rams 23 (trionfo di fantasia e creatività!). La città in cui avviene la "scissione" è Barletta, migliaia di chilometri di distanza da Herzogenaurach, e tanto, tanto differente nella reazione. Nessuna divisione della città in due fazioni, niente Guelfi e Ghibellini del tacco d'Italia. La popolazione resta compatta a pensare ai fattacci suoi mentre i due fratelli si fanno la guerra a suon di billdoard, indossaggi televisivi e sponsorizzazioni di film di bassa lega. Forse sarà perchè Barletta non è tagliata in due da un fiume come per il paesino tedesco? Mah! In questo caso, tuttavia, non penso che ci faranno un film.

giovedì 17 settembre 2009

E' "comparsa" a Bollywood













Se il cinema fosse un appartamento Hollywood sarebbe il salotto, e Bollywood ne sarebbe il giardino. Qualche giorno fa, domenica 6 settembre per la precisione, ho avuto l'onore di partecipare come comparsa all'interno di un film Bollywoodiano, una produzione indiana per intenderci. Niente cowboy né frecce, ma costumi colorati e musica. Be', per dirla tutta di musica ne ho sentita poca sul set, ma che film indiano sarebbe se non ci fosse un bel balletto con tante braccia svolazzanti e scampanio. Sì, perchè i film con produzione indiana seguono un preciso canovaccio che non può assolutamente prescindere dalla musica e dal ballo. La storia è quasi sempre la stessa: due innamorati che, per qualche assurda ragione (spesso problmi di casta), non riescono a stare assieme e lottano contro le avversità finchè il loro amore non tronfa su tutto il resto. La pellicola in questione si chiama "House Full", la casa pazza e di pazzia ne ho vista a quintali sul set. Una truope impressionante, così come le attrezzature e la velocità con cui tutto veniva sistemato e settato. Cambi si set a tempo di record, ma scene spesso girate e rigirate all'infinito per la gioia di noi comparse che grondavamo sudore su di una terrazza assolata di un hotel del Gargano. La scena era piuttosto semplice per quanto discutibile ne fosse il contenuto. Un uomo, in viaggio di nozze dall'India sul promontorio del Gargano (soluzione da premiare per la singolarità della scelta!) sta per suicidarsi lasciandosi cadere da un balcone al quinto paino di un hotel di lusso del promontorio pugliese. Una raggiante ed affabile ragazza, anch'essa indiana, gli salva la vita convindendolo a restare aggrappato alla ringhiera con non so quale espediente (non le ho visto alzare la gonna nè potuto udire alcunchè). Persuaso l'aspirante suicida a demordere dal cupo intento, lo aiuta a risalire e, una volta faccia a faccia, scatta l'abbraccio con conseguente bacio dei due. Ricordo che lei indossava un corto ed alquanto succinto vestitino di cotone tutto colorato. Lui un semplice jeans e una polo a riche rosse e blu, maglia che doveva essere davvero preziosa vista la cura e la premura con cui le assistenti di scena la trasportavano, appesa ad una gruccia, da una parte all'altra del set. Una scena topica, insomma, in cui lei incarna l'aspetto salvifico della bellezza femminile e lui tutta la stupidità maschile. La scena, tuttavia, possedeva quella giusta dose di spettacolarità e pericolosità davvero niente male. Momenti di suspance quando la controfigura stantman del protagonista si è calata giù per il balcone legato in vita da una sottile imbracatura. Sì, perchè le scene pericolse, o presunte tali, vengono sempre girate da esperti del pericolo e non da professionisti della recitazione (salvo dovute eccezioni, si intende). E la differenza è visibilisssima e risibilissima. Vedere penzolare goffamente l'attore, nelle scene in cui si giravano i primi piani, con una mano appesa alla rinchiera ed un piede poggiato su di una scala tenuta ferma da almeno quattro assistenti, ha fatto sbellicare più di una comparsa, per non parlare dei curiosi. E noi giù, su di un terrazzo, a fingere di essere dei giornalisti accorsi per riprendere l'evento. Ora, sorvolando volutamente sulla possibilità che un folto nugolo di reporter accorra praticamente in tempo reale sulla scena di un suicidio con a seguito fotografi e cameraman, che bisogno c'era di farci sbucare tutti assieme da un muro appena lì vicino? Si rasenta la pazzia. Possibile che il pubblico indiano si beva una simile storia? Sembrava di essere sul set di un film di Pozzetto con regia dei Monti Payton. Una scena, tra l'altro girata tante di quelle volte e in così tanti modi differenti che anche il più abile montatore e mago della postproduzione troverebbe impossibile conuigare con il resto al fine di realizzare quantomeno un prodotto che rasenti la logicità. Ho visto comparse (vacche al pascolo in balia di un pastore sotto effetto di funghi allucinogeni) cambiare ruolo senza alcuna ragione apparente. Da cameramen sono diventati fotografi e da giornalisti sono diventati passanti. Scaletta a puttane e plot a farsi benedire. Eppure si trattava di una produzione faraonica. Erano sul Gargano già da due settimane e prima avevano girato delle scene in India. Dopo avrebbero registrato a Londra per qualche giorno e poi di corsa a Las Vegas, tanto la difefrenza tra Pugnochiuso ed il Nevada chi l'avrebbe mai colta! Ok, la scenggiatura non è il pezzo forte di questi indiani, ma lasciatemi dire che un pastore tedesco avrebbe recitato meglio (vedi rex!). Gli attori ci mettevano una tale foga nella recitazione che esplodeva in gesti ampi e risate sguaiate senza precendeti. Ma ogni gesto trasudava passione, tanto da rendere la loro recitazione un misto di sacro e di folclore. E la riprova di ciò è racchiusa in un attore in particolare (guarda la foto in alto). Tutti lo chiamavano Cianky, anche perchè aveva un nome impronunciabile. Era una forza della natura, e trattava noi comparse come esseri umani. Spesso ci ha invitato a bere, senza badare alle riprese. Già giravano equivoche storie sul suo conto, del tipo che una sera era uscito dall'albergo e subito il regista era corso a recuperalo prima che lui potesse combinarne qualcuna delle sue. Gesta etiliche e dongiovannesche si vociferava. Il suo abbigliamento era fantastico: pareva che l'arcobaleno si fosse schianto sulla sua camicia scomponendo i colori e ricomponendoli a caso, lasciando che il cielo avvolgesse il suo abito. Purtroppo dalla foto non sono visibili le scarpe, presto fatto: basti ricordare quelle che indossava il sultano nel Film la lampada di Aladino con John Dehner del 1952 per averne almeno un'idea. Un tipo simpatico, però. A fine riprese mi ha detto che se fossi passato da Bombay o Mombay o New Dely, avrei potuto chiamarlo e lui mi avrebbe offerto da bere e magari anche ospitato a casa sua. Ed io gli ho risposto che se magari fossi passato di lì e lui non fosse stato impegnato in qualche altra stramba produzione (di film ne ha girati ben 82!), l'avrei sicuramente chiamato.

sabato 12 settembre 2009

Tempi moderni

66a Mostra del Cinema di Venezia: i film in concorso, red carpet, le star ed i paparazzi, un arcivescovo scomunicato ed una lolita presidenziale. Nella giornata di mercoledì sul tappeto rosso hanno sfilato tra la folla di fotografi, curiosi ed esibizionisti, l'ex monsignor Milingo - immancabilmente accompagnato da signora - e Noemi Letizia. Praticamente un prete scomunicato ed una lolita col permesso dei genitori. Il primo che, smarrita la retta via, pare aver scambiato la fede con la figa, la seconda che dichiara "per me la verginità è un valore"... probabilmente costoso, visto le compagnie. Depravazione ed immoralità sotto i riflettori - le definizioni si intendono perfettamente interscambiabili per i soggetti in questione, fate voi -. I tempi cambiano, è vero, verissimo, fottutamente e dannatamente vero. La morale una pratica onanistica in tempi d'orgia, il buon senso un'esile richiesta di tregua durante un bombardamento atomico. Ci vogliono tutti con la coscienza sporca, tutti con una bella macchia ed un bel profilo facebook per darle una giusta pubblicità. Star del peccato. Arroganti, stupidi, incoscienti e splendenti. Impudenti ed impuniti: Calisto Tanzi è ancora Cavaliere del Lavoro, Lorenzini continua ad aver appesa al petto al medaglia d'ora della Sanità. Il pubblico di forum sceglierebbe ancora Barabba e i tre ladroni proverebbero di tutto per togliere dalla scena Gesù. E nessuno batte ciglio. E intanto scorrono le immagini di Baaria, mentre le rievocazioni del '68 sembrano essere l'unico modo per evocare un certo fervore e livore verso l'attualità. Ieri è già lontano, figuriamoci quarant'anni fa, e poi mio padre è troppo stanco e, da come sprofonda sul divano, sembra anche abbastanza stufo. Se non fosse per qualche sua smorfia di indignazione direi anche indifferente. Di certo più miope. E allora mi chiedo che valenza ha il telecomando se la trasmissione che più emoziona dà dei pacchi.
Non sono tempi adatti agli innocenti. No, non lo sono. E allora mi viene voglia di commettere qualcosa, qualcosa di squallido ed eclatante. Si badi bene che non mi riferisco ad un reato. No, perché quello in quanto tale è ancora collegato - ma solo concettualmente e per poco ancora - alla lesione della proprietà o sottrazione della ricchezza. Mi riferisco a qualcosa che possa semplicemente offendere la dignità di un uomo ormai unto tanto da poter scivolare nei palinsesti televisivi per qualche tempo. Ma poi penso al senso di colpa. Cazzo quanto pesa e quanto tempo porta via il senso di colpa. Purtroppo il cilicio non funziona più. Due o tre vergate e la colpa passa. Eh no! Troppo comodo. Allora penso al fatto che dovrei intraprendere un lungo percorso per liberarmi preventivamente da ogni senso di colpa: compro libri di marketing e managemnt, appendo al muro della mia stanza una bella stampa di Charles Manson e ascolto musica new age. Mi rimpinzo di hamburger da Mc Donalds e vado a fare footing, ma non prima di aver caricato il mio lettore di pezzi di band che tra qualche mese non esisteranno più ed essermi comprato un bel completo sportivo in un ipermercato. Poi torno a casa e, per paura che il confronto con qualcuno mi possa mettere con le spalle al muro, accendere la tv. Spaventarmi se c'è qualcun altro intenzionato a condividere con me il telecomando e correre sempre nello stesso ipermercato ad acquistare un'altra tv, lcd, anzi no, al plasma. Anzi no, con tecnologia led. Una tv enorme, una di quelle che non si misurano in pollici ma in braccia. Ma poi nella mia auto non ci entra. E il trasporto non lo voglio pagare: è un furto. Allora risparmio, risparmio su tutto, non esco, non faccio regali neppure a Natale neppure alla mia ragazza. Non vado in vacanza e lavoro, lavoro e lavoro. Nella pausa mi collego con il mondo naufragando tra le immagini ed i pensieri di facebook e la notte dormo con una sola camomilla. Vendo i miei libri e guardo film masterizzati. Vesto con abiti ormai non più di moda cercando di farmi vedere il meno possibile in giro, sai che oltraggio se non fossi di moda. Poi mi collego ad internet e controllo il mio conto in banca. Mi reco in concessionaria e compro un suv. Ora posso caricare il mega televisore. Non riesco a sintonizzare i canali. Allora ritorno su internet e scarico un manuale, ma non serve, meglio i parerei dei forum. Attivo una decina di account e qualcuno flirta con me. Finalmente riesco a mettere in funzione la tv: forse riesco anche a vedere l'ultima puntata di X Factor. Così ho un argomento. Ho tutto, adesso, compreso le rate di una macchina che non mi serve e quelle di una tv che non ho il tempo di vedere. Ma il senso di colpa sembra sopito dimenticato, eliminato. Allora esco e mi sputtano tutto ciò che mi resta in abiti costosi e porto a lavare la macchina tre volte a settimana. Adesso sono pronto. Adesso sono pronto per commettere il mio gesto eclatante, quello che mi farà salire alla ribalta, quello che farà parlare di me, ma prima devo trovare un box per il suv, parlare con il commercialista, pulire il mio pc dai virus, rassicurare la mia banca, cercare di prendere tempo con l'assicurazione, fare l'amore con la mia ragazza, chiedere un anticipo sullo stipendio, portare a termine i progetti a lavoro, inviare nuove richieste di amicizia, sincronizzare la posta con il mio iphone, copiare tutte le password su di un'agendina, ordinare un cocktail alla frutta, organizzarmi le vacanze con un volo economico, comprare qualcosa su internet, rispedirla perché la taglia è sbagliata, verificare che il nero è ancora di moda, farmi un caffè seduto al tavolino del locale più figo della mia città, installare un allarme satellitare sul suv, comprami un navigatore, scaricare le mappe del Sud America, abbonarmi a Vanity Fair, strafarmi di guarana e vitamine, sfoltirmi le sopracciglia, acquistare un dentifricio sbiancante e prenotare la chiesa per il mio matrimonio tra due anni, pensare alla disposizione dei tavoli, farmi venire voglia di un viaggio in solitaria, in giro per l'Europa per finire solo, davanti un vecchio ed interminabile cantiere, a chiedermi cosa cazzo stiano ancora costruendo da anni. Hmm, cosa dovevo fare?

giovedì 10 settembre 2009

Il giornalismo ai tempi di internet: manifesto dei blogger tedeschi

I 17 PUNTI:

1. "Internet è diverso" Il nuovo mezzo di comunicazione è molto differente rispetto agli altri media. Chi vuol lavorare nel campo dell'informazione deve adattare i propri metodi di lavoro alla realtà tecnologica di oggi invece di ignorare e contestare il mondo multimediale. Bisogna produrre prodotti giornalisti nuovi e migliori.

2. "Internet è un impero mediatico tascabile" Grazie a internet è possibile fare dell'ottimo giornalismo anche senza immensi investimenti. Il web riorganizza le strutture esistenti dei media abbattendendo gli antichi confini che esistevano tra giornali, televisione, radio etc.

3."Internet è la nostra società e la nostra società è internet" Wikipedia, YouTube e i social network sono diventati una parte della vita quotidiana per la maggioranza delle persone nel mondo occidentale. I mezzi di comunicazione, se intendono sopravvivere alla rivoluzione tecnologica contemporanea, devono capire i legittimi interessi dei nuovi utenti e abbracciare le loro forme di comunicazione.

4. "La libertà di internet è inviolabile" Il giornalismo del XXI secolo che comunica digitalmente deve adattarsi all' architettura aperta di Internet. Non è ammissibile che si limiti questa libertà in nome di interessi particolari commerciali o politici, spesso presentati come interessi generali. Bloccare parzialmente l'accesso a internet mette a repentaglio il libero flusso delle informazioni e il diritto fondamentale di informarsi.

5. "Internet è la vittoria dell'informazione" Per la prima volta grazie a Internet l'utente può scegliere realmente come informarsi e attraverso i motori di ricerca attingere a un patrimonio d'informazione immenso.

6. "I cambiamenti apportati da Internet migliorano il giornalismo" Grazie a internet il giornalismo può svolgere un'azione socio-educativa completamente nuova. Ciò significa presentare notizie in continuo cambiamento attraverso un processo inarrestabile. Chi vuol praticare il giornalismo deve essere stimolato da un nuovo idealismo e capire che le risorse offerte da internet sono un incredibile stimolo a migliorare.

7. "La rete richiede collegamenti" La rete è fatta di collegamenti. Chi non li usa si autoesclude dal dibattito sociale e ciò vale anche per i sitiweb dei tradizionali mezzi di comunicazione.

8. "Linkare premia, citare abbellisce" Chi fa giornalismo online deve offrire all'utente un prodotto sempre più completo. Linkare le fonti e citarle permette di conoscere direttamente e più ampiamente i temi di cui si dibatte.

9. "Internet è la nuova sede per il discorso politico" Il giornalismo del XXI secolo deve fare in modo che il dibattito politico si trasferisca sempre di più sulla rete così il pubblico potrà partecipare direttamente ai discorsi politici e dire la sua.

10. "Oggi libertà di stampa significa libertà d'opinione" I giornalisti non devono temere che la rete possa sminuire il loro compito di selezionare le notizie e informare. La vera dicotomia che invece internet realizza è quella tra il buon e cattivo giornalismo.

11. "Sempre di più: le informazioni non sono mai troppe" Sin dall'antichità l'umanità ha capito che più informazioni si hanno più è grande la libertà. Internet è il mezzo che può più di tutti può allargare la nostra libertà.

12. "La tradizione non è un modello di business" Come dimostra già la realtà odierna è possibile fare buon giornalismo su internet e guadagnare denaro. Non bisogna ignorare lo sviluppo tecnologico solo perché secondo alcuni distruggerà le aziende giornalistiche, ma bisogna avere il coraggio di investire e ampliare la piattaforma multimediale.

13. “Il diritto d'autore diventa un dovere civico su Internet” La rete deve rispettare il diritto d'autore, ma anche il sistema del copyright deve adattarsi ai nuovi modelli di distribuzione e non chiudersi nei meccanismi di approvvigionamento del passato.

14. "Internet ha molte valute" Il modo più tradizionale di finanziare i giornali online è attraverso la pubblicità. Altri modi per finanziare i prodotti giornalistici devono esseri testati.

15. “Cio' che rimane sulla rete resta sulla rete” Il giornalismo del XXI secolo non è più qualcosa di transitorio. Grazie alla rete tutto rimane nella memoria degli archivi e dei motori di ricerca e ciò fa in modo che testi, suoni e immagini siano recuperabili e rappresentino fonti di storia contemporanea. Ciò stimola a sviluppare un livello qualitativo sempre migliore.

16. "La qualità resta la più importante delle qualità" Le richieste degli utenti sono sempre maggiori. Perché un utente resti fedele ad un particolare giornale online, quest'ultimo deve garantire qualità e soddisfare le richieste del lettore senza rinunciare ai propri principi.

17. "Tutto per tutti" Internet ha dimostrato che l'utente giornalistico del XXI secolo è esigente e nel caso di un dubbio su un articolo è pronto a studiare la fonte per essere maggiormente informato. I giornalisti del XXI secolo che il lettore cerca non sono quelli che offrono solo risposte, ma quelli che sono disposti a comunicare e a indagare.

Fonte: Corriere della Sera

mercoledì 24 giugno 2009

10 domande ai pubblicitari

Fonte: Blog di Grazia

Sono certa che almeno una volta nella vita vi sarete fatti queste domande.
Ancor meglio sarebbe stato poterle fare ai diretti interessati.
Be’, io non ho le risposte - sono ancora troppo novizia dell’ambiente – ma chissà che, pubblicandole sul blog di Grazia, non si faccia avanti qualche pubblicitario professionista per illuminarci.

1) Perché per promuovere prodotti antietà/dimagranti vengono scelte sempre modelle ventenni che evidentemente non hanno alcuna natura umana (la forza di gravità non ha effetto su di loro, il sole in picchiata sul viso non fa scoprire segni di imperfezioni, “sono gonfia” significa portare la 42)?

2) Perché le mamme hanno pochi più anni dei presunti figli, rendendo fisiologicamente impossibile il loro essere genitrici?

3) Perché in quei giorni dovrei avere voglia di fiondarmi da un aereo, fare la ruota per dimostrare di essere una conduttrice, prendere il treno e mettere l’assorbente sui bocchettoni d’areazione? Cioè, vi rendete conto che la vostra conoscenza in fatto di donne…

4) Vi trovate credibili quando dipingete la famiglia gaudiosa e sorridente alle 7 del mattino, con i pigiami belli stirati, i capelli ben pettinati e manco l’ombra di un’occhiaia?

5) Quando smetterete di storpiarmi le mie canzoni preferite? Per colpa vostra non le posso più sentire!

6) E’ proprio necessario parlarmi di lassativi mentre sto mangiando?

7) Ma quelle scritte piccole-piccole che scorrono veloci-veloci mentre nella pubblicità mi state vendendo un’ “offerta eccezionalmente vantaggiosa” (vi ho sentiti, dicevate proprio così)… Non saranno mica una fregatura, vero?!

8) Perché continuare a parlare di bifidus se nessuno studio ha mai dimostrato i suoi poteri regolarizzanti? E come mai questo batterio ha un nome diverso in ogni stato?

9) Quanti soldi sprecate per ogni superstar hollywoodiana che viene a farsi la sua comparsata di pochi secondi? Darli a me quei soldi, no eh?!

10) Seriamente: quale mente può partorire uno scoiattolo petante per promuovere un chewing-gum?

domenica 17 maggio 2009

Spike Jonze Tribute

Rap Video Clip




Skate for Lakai




Ikea




Levi's "Doctor"




Levi's "Fly weight jeans"




Gap Store




Short Film "How they get there"




Another short film "Wax - Southern California"




Adidas Commercial




Great video clip:
"Sabotage" - Beastie Boys




"Weapon of choise" - Fat Boy slim

Air France commercial - Michel Gondry

sabato 16 maggio 2009

Il sacrificio di Edipo

Nonostante avesse una pistola puntata in faccia, conservò il suo sangue freddo e la sua arroganza. L’arma aveva una lunga canna argento ed il tamburo gonfio. L’uomo che la impugnava sudava copiosamente ed il suo respiro cresceva man mano che in lui prendeva piede la convinzione di fare fuoco. Era estate, e la brezza marina si diffondeva leggera come il profumo di viole in primavera. Quando udii il colpo esplodere, avevo gli occhi chiusi e tutto quello a cui riuscivo a pensare era solo un vecchio film western che mio padre mi costringeva a vedere e rivedere in continuazione. Gli ricordava la sua giovinezza, così diceva mentre ordinava a mia madre di portargli da bere e a mia sorella di chiudere il becco. Quando li riaprii, vidi quel corpo franare in terra come un macigno. Non so dove quell’evento mi scaraventò, ma avvertii un certo senso di pace. Dalla folla si fece largo una donna, tra singhiozzi e lacrime. Si inginocchiò accanto il corpo che ancora riversava sangue e cervella e, con fare amorevole, gli afferrò il capo sollevandolo da terra. Con una mano gli sistemò i capelli e gli levò via il sangue dal volto. Poi alzò la testa e urlò così forte al cielo da spalancargli le porte del Paradiso. Quando mollai la pistola, mi parve di volare. Lo sguardo di mia madre, con sul volto ancora i segni delle sue percosse, mi riportò lì dov’ero. Stringeva ancora il corpo di mio padre come mai le avevo visto fare prima. Nei suoi occhi lessi la tragedia trasformarsi in dolore, che divenne presto anche il mio. Mi sentii smarrito, abbandonato. Lei si alzò da terra come una Madonna affranta e si avvicinò a me. Mi percosse il petto con pugni, mentre i suoi occhi parevano schiantarsi rabbiosi contro il mio animo. Sono qui per fare ciò che andava fatto, vero mamma? Vero? Non appena lei poggiò la testa sulla mia spalla, avvertii un brivido sconvolgermi le viscere. Avrei tanto voluto che smettesse di piangere, che mi sorridesse e mi accarezzasse come una volta. In lei c’era tutta la mia libertà, tutto il mio amore. Avevo ammazzato la sua speranza, avevo equivocato il suo dolore. Avrei voluto dirle che non era accaduto nulla, che il suo amore era salvo e che avremmo percorso altre strade assieme, ma ormai le ero troppo distante.

venerdì 1 maggio 2009

Io sono pubblicitario

- A che piano vai?
- Al quinto. Lei?
- Pure... Sei il figlio della professoressa?
- Sì!
- E che fai, vai all'università?
- No signora, ormai è da un pezzo che ho terminato gli studi.
- E che hai studiato?
- Giurisprudenza.
- Ah, avvocato!
- Sì, diciamo. Giurisprudenza appunto!
- E che fai, lavori?
- Certo che lavoro.
- Da un avvocato?
- No.
- Hai lo studio tuo?
(Calzo 42, occhi castani, capelli ricci e un dannato diastema tra gli incisivi superiori che mi perseguita dacché sono nato. Serve altro, maletedda ficcanaso?)
- No signora, non ho uno studio mio.
- Uh, mi dispiace.
- Non si dispiaccia, sto benissimo come sto!
- Ah, sì! E che fai?
(Avida e curiosa vecchia griffata)
- Mi occupo di comunicazione...
- Cosa?
- Sono un copy... un pubblicitario, ha presente?
- Un publiche?
- La pubblicità, signora! Ha presente quella sui giornali, sui manifesti... quella della tv? Be', io faccio quello di mestiere!
- Ah, che peccato!
(Maledetta stronza che non sei altro, come che peccato!)
- E dovevi studiare avvocato per fare quel mestiere?
- No, non c'è bisogno di fare giurisprudenza per farlo.
- Neeeeee... che peccato davvero! E chi te lo fa fare?
- Ma a me piace quello che faccio! Mi piace davvero molto.
- Ti sei sacrificato molto. Madonna mia, mi dispiace davvero!
- No, forse non mi sono spiegato (arpia invadente che non sei altro!).
- Faccio quello che più mi piace fare e con buoni risultati, devo dire. Quindi perchè dispiacersi? Io sono felice così!
- Davvero, mi dispiace assai. I sacrifici... questo lavoro. Vabbè, buona fortuna figlio mio... assai di fortuna. E saluta a mamma.
- Grazie, non mancherò! (ma vaffanculo!)


I fatti descritti fanno riferimento ad un avvenimento realmente accaduto.

Oggi il "pubblicitario" continua a fare il pubblicitario nella sua città.
E' felice di fare quello che fa.

La signora invadente, appena dopo quella conversazione, è stata vista entrare nell'appartamento di fronte a quello del pubblicitario. Entrando, ha confessato alla figlia di essere davvero dispiaciuta per il ragazzo con cui era salita in ascensore - "il figlio della professoressa" - perchè "faceva la pubblicità".
Ha domandanto, poi, se per fare "la pubblicità" ci volesse una laurea in legge. Alla risposta negativa del suo interlocutore, la vecchia ed impicciona signora ha replicato: "quanti sacrifici... che peccato! ma non poteva fare l'avvocato!".
Ad oggi, nessuno sa se quella signora sia mai uscita da quella casa e se abbia smesso di dispiacersi per il povero pubblicitario laureato in legge.

A Vision of K12 Students

lunedì 9 marzo 2009

Introduzione all'uso

La necessità di comunicare ha spalancato più bocche dello stupore, ne ha aperte perfino di più di una succulenta coscia di pollo in tempi di magra. Io ho fame, sono un essere affamato e tremendamente stupito: allora apro un blog!

Apro un blog e chiudo la bocca, 'sta sera scrivo e non esco. Devo comunicare. Devo dire la mia e devo fare in modo che gli altri la leggano e che magari la commentino.
Devo alimentare discussioni, devo essere sempre attuale, simpatico e conciso. L'attualità è importante. Va veloce il tempo, più veloce del tempo di mia madre, immensamente più veloce di quello di mio nonno. Mio nonno non teneva mai la bocca chiusa e i suoi indumenti sapevano di colonia e le dita di tabacco.

Posterò commenti ironici e sagaci, farò ricorso al "copia ed incolla". Niente digressioni, dissertazioni, teorie astruse. Solo fatti, brevi e concisi. Per la mia opinione mi servirò di poche parole. Di poche parole e di Wikipedia. Dirò sempre la verità, si fa presto ad essere scoperti nella rete. C'è gente che non fa altro che girare per blog e portali alla ricerca di errori ed imprecisioni. Se qualcuno mi sgama a dire stronzate, sono fottuto per sempre. Dovrò ingaggiare una di quelle agenzie che si occupano di ripulirti la reputazione sul web.

Dirò la verità. La verità è importante, la verità è tutto. Un fatto ha tante verità quanti sono coloro che lo osservano accadere. Un fatto possiede un numero di verità relative tante quanti sono coloro che hanno sentito parlare di quel fatto. Un fatto è verosimile quando se ne è sentito parlare per un po'. Un fatto è vero con riserva finché qualcuno non lo smentisce ufficialmente. Un fatto continua ad essere vero se chi lo smentisce è un personaggio pubblico. Un fatto è falso quando non è accaduto. Un fatto è falso quando non hai voglia di indagarci su. Un fatto è falso quando a dirtelo è un uomo di cui non ti fidi. Un fatto non è mai accaduto se non ne sei venuto a conoscenza. Un fatto è un fatto quando è pieno di roba.

Penso alla birra e al rumore che fanno due bottiglie quando si toccano per brindare. Penso alle feste ed ai momenti conviviali. Penso all'importanza di avere una macchina fotografica digitale ed un profilo facebook. Penso all'invidia e ai fatti degli altri, tutti veri ovviamente, verissimi e documentatissimi e commentatissimi. Penso al posto che occuperò su google. Penso al tempo che ho impiegato per ottenere il "mio spazio" e alla facilità con cui adesso riesco a farmi degli amici.

Penso che adesso potrei davvero raggiungere tutti, scovare chicchessia. Penso a Sherlock Holmes in mutande sul divano. Penso a completare il mio profilo. Penso a linkare il mio blog alla gente giusta, mandare mail per complimentarmi e messaggi per scusarmi. Penso ai miei hobbies, film, libri e canzoni preferite nella speranza che un software mi avvicini a persone con i miei stessi gusti. Penso al fascino del contraddittorio e al piacere di fare due chiacchiere con uno sconosciuto senza cadere nel phishing.

Penso che se sarò felice, cambierò il titolo del mio account msn. Penso che skype è meglio. Credo di sapere dove andare se mi sentirò infoiato. Penso a leggere un giornale con lo scroll. Penso che una copia Gazzetta sarà sempre presente sui banchi dei gelati dei bar. Penso all'odore di fritto e alle tovaglie di carta mentre una foto di Totò mi guarda dall'alto. Penso alle tacche del telefono in quella topaia. Penso alla durata di una conversazione e alla capacità della batteria di supportarmi.

Penso alla portabilità e alle zone coperte dal segnale wifi, è lì che andrò in vacanza. Penso che spulcerò nella vita delle mie ex. Penso che farò un po' di spam per farmi leggere. Penso al potere della rete e alzo mano: clicco Salva e pubblico il post!